Sempre più spesso mi capita di ricevere in studio genitori in difficoltà nel gestire la relazione e la comunicazione con i propri figli di qualunque età.
L’ingresso nella pubertà e poi nell’adolescenza è un momento di crisi per le famiglie, ma anche in età precedenti non mancano situazioni che mettono in difficoltà i genitori. Tra queste le più comuni sono:
- bambini che non vogliono dormire o si rifiutano di mangiare o diventano capricciosi;
- comportamenti oppositivi/provocatori dall’infanzia all’adolescenza;
- rifiuto delle regole, comportamenti rischiosi o aggressivi o di sfida e rifiuto della scuola;
- preoccupazione per la comparsa dei comportamenti tipici dello sviluppo dell’identità nella pubertà.
La prima richiesta di un genitore in difficoltà è quella di intervenire sul figlio, mi dicono “dottore le porto mio figlio, faccia qualcosa lei”. Ma quando ho incontrato questi bambini o ragazzi, mi sono trovato con figli che non percepivano nessun problema se non genitori troppo ansiosi, preoccupati o arrabbiati con loro. L’intervento sui figli spesso non porta a nessuno sblocco della situazione problematica.
Per queste situazioni propongo un parent coaching, che si può fare anche online [leggi qui per saperne di più].
Il parent coaching è un intervento genericamente breve e strategicamente orientato alla soluzione del problema, attraverso l’analisi degli schemi comunicativi e comportamentali dei membri della famiglia e soprattutto dei genitori, valutando ciò che in ogni sistema familiare non funziona e nel potenziare ciò che funziona (in termini di comunicazione e azioni).
Si parte dall’idea che in situazioni complesse come le relazioni familiari, se si cambia modo di interagire e di comunicare, possono esserci dei cambiamenti consistenti nella situazione.
Con le migliori intenzioni, i genitori interagiscono con i figli in modalità che generano e mantengono la situazione problematica stessa. Ad esempio, davanti ai tipici momenti di aggressività verbale di figli adolescenti, si risponde con altrettanta aggressività, innescando un’escalation di conflitto. Oppure capita che mamma e papà facciano “qualcosa che funziona”, ovvero riescano a gestire la situazione problematica, ma senza sapere bene come hanno fatto.
Spesso chi affronta un problema – soprattutto se fortemente caratterizzato da aspetti emotivi come la relazione tra genitore e figlio – continua ad utilizzare soluzioni che non funzionano, nell’idea di agire con buon senso e con le migliori intenzioni.
Il coaching, come accade nelle discipline sportive da cui il termine deriva, è un processo di sviluppo e rinforzo delle capacità e delle risorse personali che tutti i genitori hanno, magari inconsapevolmente, attraverso l’individuazione del potenziale di cambiamento e delle caratteristiche che limitano tale potenziale.
Come funziona il Parent Coaching?
Nel parent coaching si chiede ai genitori di partecipare, entrambi e senza figli, ad un primo colloquio conoscitivo e si inizia ascoltando la descrizione della situazione. Già dal primo incontro ed entrando sempre più nel merito:
1. si analizzano le tentate soluzioni, ovvero cosa è stato fatto per risolvere il problema e si valuta insieme quanto hanno funzionato tali soluzioni;
3 si valutano e si analizzano i cambiamenti desiderati – gli obiettivi – alla luce del progetto educativo familiare;
2. si cercano i punti di forza e gli aspetti critici di entrambi i genitori e si cerca una sinergia e una collaborazione maggiore tra le figure genitoriali (troppo spesso le responsabilità educative sono sbilanciate tra mamma e papà);
3. il resoconto delle situazioni di vita familiare riportate come problematiche offre la possibilità di ascoltare i significati attribuiti dai genitori ai comportamenti dei figli.
In questa fase è necessaria una ristrutturazione di certi significati in quanto i genitori non riconoscono le caratteristiche tipiche delle varie fasi dello sviluppo e talvolta danno un senso autoreferenziale o stigmatizzano i caratteristici comportamenti dei figli nelle varie fasi evolutive. Ad esempio, attribuiscono caratteri e volontà sproporzionati a figli che appaiono molto “capricciosi” e “testardi” oppure si sentono attaccati personalmente quando un preadolescente comincia la ricerca della propria identità con la sfida all’autorità genitoriale. Questo genera sentimenti di delusione e sensazioni di fallimento del ruolo genitoriale e grava sul senso di autoefficacia.
4. si lavora concretamente alla situazione problematica chiedendo di provare a lasciare certe soluzioni finora praticate e ad agire in un modo diverso, secondo quanto condiviso ai punti precedenti.
Ogni cambiamento in termini interattivi e comunicativi (le soluzioni) è concordato con entrambi i genitori, nel rispetto delle peculiarità di ognuno, monitorata nel tempo e valutata secondo i risultati attesi e concordati coi genitori.
Cosa funziona sempre nella relazione genitori – figli
Alcuni principi che già bastano a migliorare le relazioni genitori – figli.
1. non insistere: se qualcosa non funziona, smetti di farlo, non è la soluzione giusta;
2. ascolta: hai capito le motivazioni di tuo figlio nel comportarsi in un certo modo?
3. domandare è meglio che affermare: chiedere, fare sentire il proprio interesse di genitore;
4. stare insieme: essere un punto di riferimento, passare del tempo insieme, senza fretta;
5. ciò che succede oggi non accadrà per sempre.