Le relazioni sociali sui social media
Come l’utilizzo delle tecnologie digitali sta influenzando le relazioni tra le persone
Nel 2021 partecipai ad un evento online organizzato da PA Social Campania sull’impatto che le tecnologie digitali e i social network stanno avendo sulle relazioni.
Il titolo del mio intervento era Le relazioni social sono relazioni sociali? Sotto le considerazioni che ho voluto condividere in quell’intervento (si può vederne il video a questo link).
Come premessa risponderei alla domanda che da il titolo al mio intervento e direi di sì, da un punto di vista linguistico e psicologico, cioè di significato che hanno le parole e gli usi che generano nel senso comune.
Dal punto di vista del significato linguistico, la parola sociale deriva dal latino socialis, aggettivo che denota un qualche tipo di relazione tra persone, di tipo coniugale, ma anche bellico – essere contro qualcuno – oppure si riferisce a relazioni per affari o per altre finalità.
La parola relazione deriva dal verbo latino referre che tra i molteplici significati ha quello di rivolgersi a…
Dunque quando parliamo di relazioni sociali ci riferiamo a rapporti tra persone che si rivolgono ad altre persone, per qualche tipo di finalità, bisogno o scopo.
Tra queste finalità ci sono il bisogno di comunicare, di raccontare, di condividere, di confrontarsi, di avere informazioni, pareri, consigli, esprimere disappunto o accordo con altri, sentire l’appartenenza ad un gruppo e prendere le distanze da altri, includere o escludere – tutte attività sociali di tipo relazionale, possibili anche sui social media.
Il termine inglese social, a seconda che sia associato alla parola network – può formare la parola composta social network – parola che fa riferimento alla rete di persone e di relazioni che si creano grazie allo strumento dei social media, l’altra parola composta che ci interessa.
Grazie ai social media sono possibili i social network e i contatti con altri.
Questo webinar ne è un esempio, in questi tempi di pandemia siamo al lavoro e a scuola senza esserci fisicamente, siamo in relazioni con amici, figli, parenti, mogli, mariti, amanti…
Anche le persone anziane hanno scoperto le potenzialità delle tecnologie digitali (da ora abbreviato in TD). I gruppi informali di amici uniti da un interesse si sono spostati sui social network (da ora abbreviato con SN) e molte persone finora resistenti all’uso delle TD hanno aperto un profilo su FB.
Ma anche prima di questi tempi di pandemia eravamo perennemente connessi.
Dati di qualche anno fa ci dicono che:
- in tutto il mondo sono stati scaricati circa 50 miliardi di selfie dai principali social network (fb, wa, instagram)
- in Italia è online il 73% della popolazione (circa 43 milioni)
- 34 milioni di persone usano i social network
In particolare, tra i ragazzi preadolescenti e adolescenti, la maggior parte di loro utilizza internet tutti i giorni, pubblicando e scambiando foto e dati che spesso dovrebbero essere privati.
Lo fanno senza conoscenza del mezzo tecnologico, infatti se chiedete loro cos’è internet spesso rispondono che è FaceBook o YouTube, molti non sanno usare l’email, non hanno visione degli effetti delle loro azioni, anche legali, in una chat di classe o della eterna durata delle foto e dei video pubblicati in internet.
Più del 40% dice di non sapere come bloccare messaggi, salvare bookmark, cercare informazioni sulla sicurezza online, cambiare le impostazioni di privacy, capire se un sito – o un’applicazione è affidabile – non sanno verificare la fonte di un’informazione.
Una vera e propria incompetenza digitale, ma tanti adulti non sono più preparati.
Questi dati parlano da soli, una parte consistente del nostro tempo lo passiamo ad usare SN i cui ambienti virtuali, fanno parte della nostra vita relazionale quotidiana, tale per cui è difficile distinguere tra vita reale e offline.
Come si è generato questo scenario?
La tecnologia digitale ha avuto uno sviluppo esponenziale velocissimo e una diffusione su scala planetaria negli ultimi 20 anni, come neanche la rivoluzione industriale ha avuto dalla seconda metà del 1700.
Si parla di immigrati digitali, ovvero quegli adulti nati in un’epoca pre-digitale – prima del 2000 circa – prima di internet, sono quelli che hanno dovuto imparare ad usare le TD, per lavoro o per svago, negli ultimi 15/20 anni, che sono dovuti immigrare verso queste tecnologie, per stare al passo coi tempi e imparare a mandare un’email piuttosto che un fax…
Ricordate Second Life, quel mondo virtuale elettronico digitale online lanciato nel 2003 e gli avatar che si potevano creare? Fu la prima volta che sentimmo parlare di possibilità esistenziali che potevamo sperimentare in ambiente digitale.
Chi è nato dopo il 2000, questo passaggio non l’ha vissuto, perchè è nato in un ambiente di vita nei quali si stava sempre più diffondendo il PC e internet. Gli studiosi li chiamano nativi digitali, cioè nati nell’epoca digitale e già fortemente virtuale.
Addirittura i nati negli ultimi 10/12 anni vengono chiamati mobile born, cioè nati in un’epoca nella quale la connettività è portatile, smart, non necessita di un PC, basta un tablet o un dispositivo portatile come uno smartphone, ovvero uno strumento ad alta connettività sociale che è stato costruito per essere utilizzato in modo intuitivo, cioè senza teorie sul modo d’uso.
Questo è un aspetto importante, i nuovi media digitali sono progettati e costruiti per evitare al consumatore ogni tipo di conoscenza informatica.
Attenzione quando si dice “mio figlio è un genio con la tecnologia” perché quella tecnologia è stata costruita affinchè venga usata proprio come lo vedi fare, c’è poco di geniale…mi spiace risultare antipatico ma è così.
Dunque per nativi digitali e mobile born, le TD fanno naturalmente parte del loro ambiente di vita, non percepiscono lo scollamento che sentono gli immigrati digitali tra reale e virtuale, tutto ciò che si può fare con un dispositivo appare possibile e dunque reale. Soprattutto non attribuiscono alle TD e ai SN la connotazione di problema.
Ma di aspetti critici sull’uso ce ne sono, perchè questo sviluppo tecnologico è stato più veloce della nostra capacità di comprenderla e di capire che impatto stanno avendo sulle questioni di cui parliamo oggi.
Si è creato un gap, uno scarto, tra tecnica e comprensione del fenomeno e questo ha generato un gap tra generazioni.
Parlavo prima di relazioni e identità, ho detto che le relazioni servono a costruire l’identità.
Quello di identità è un concetto adeguato ad analizzare il rapporto tra persone e TD in quanto indica un insieme di caratteristiche che si definiscono e costruiscono nella continuazione interazione con sé stessi e gli altri di riferimento, definizioni mutevoli nel tempo e variabili a seconda dei contesti.
La costruzione dell’identità è un processo che dura tutta la vita, ma diventa fondamentale nella preadolescenza e nell’adolescenza, che sono fasi evolutive fortemente connotate dal bisogno di rappresentarsi a sé stessi e agli altri, di mostrarsi e riceve feedback e confronto.
Infatti l’identità è un potente regolatore della condotta e dei comportamenti messi in atto nell’interazione con l’ambiente e i SN offrono svariati ambienti sociali.
Che differenza c’è tra un processo di costruzione dell’identità in un contesto digitale e in uno non digitale?
Sui SN è più facile e immediato mostrarsi, sono più possibili gli esperimenti di identità (le 1000 foto che si scattano) è più veloce anche il confronto e il feedback degli altri. Un’immagine di sé come quella rappresentata da un selfie, è una richiesta all’altro – cioè il pubblico che lo vedrà – di essere visti proprio come si vuole essere visti (sorridenti, che si fa qualcosa, insieme a qualcuno…) e inoltre me lo dicono subito se piaccio o meno.
La costruzione dell’identità diventa ancora più fluida e moltiplicata nell’unione tra reale e virtuale, anche se chiusa nella piccola cerchia di contatti del mio SN.
Quale impatto per un adolescente che sta costruendo la propria identità?
È una domanda alla quale non è immediato rispondere ma che dobbiamo porci come adulti e come educatori.
Ma anche per gli adulti i SN sono un mezzo attraverso il quale possiamo costruire la nostra identità, cioè quella rappresentazione di noi stessi che vogliamo rendere pubblica e confrontarla con quella degli altri, cercandone conferma.
La conferma la cerchiamo per similitudine di pensiero, di esperienze, di sentimenti con gli altri, ci riconosciamo, creiamo affiliazione e ci sentiamo appartenenti a gruppi nei quali percepiamo gli altri come simili a noi, in contrapposizione a quelli che percepiamo come differenti. Si creano piccoli gruppi, comunità virtuali chiuse.
E al diverso da me possiamo riservare sentimenti di incertezza, paura, rabbia, disprezzo, pregiudizio, lo teniamo separato da noi che ci riconosciamo così simili.
Sono i fenomeni che la psicologia sociale ha descritto come dinamiche di gruppo ingroup/outgroup, processi che possono offrire chiavi di lettura e modalità di gestione anche ai fenomeni di bullismo e cyberbullismo o al fenomeno dell’hate speech.
Dunque the dark side of social media – titolo dell’evento che ospita questo mio intervento – è una parte di quello specchio rappresentato dal vetro dello smartphone, dove vanno in scena fenomeni psicologici e sociali noti da prima dell’epoca digitale.
Il problema su cui porre l’attenzione allora è comprendere le dinamiche di alcuni processi identitari nella fase dello sviluppo, conoscere le dinamiche di gruppo che permettono alle persone di avere comportamenti differenti a seconda dei contesti, delle situazioni e delle regole d’uso di quei contesti.
La questione, anzi, la sfida di questi anni, è comprendere se e come i contesti relazionali offerti dai SN sono vincolati alle stesse regole sociali dei contesti offline. Studi ancora tutti da fare.
Tuttavia la presenza in rete ha una caratteristica particolare che è l’immaterialità, ovvero l’assenza del corpo fisico.
In alcune circostanze, come ad esempio quelle presenti sui SN, le persone usano meccanismi di disimpegno morale che generano il discostarsi dai propri standard etici e morali, senza sentirsi in colpa.
L’immediatezza d’uso, la velocità e la complessità o la semplicità delle reti sociali in internet non aiuta la riflessione rispetto all’uso e alle conseguenze dei propri atti.
La ricerca psicologica conferma che l’ambiente nel quale gli esseri umani agiscono può modificare (e di fatto modifica) il loro comportamento. In determinate circostanze – situazioni e contesti – chiunque può agire in maniera non coerente con il proprio comportamento abituale.
il sociologo Erving Goffman ce lo insegna con la metafora dell’evento sociale come rappresentazione teatrale, ricordandoci il ruolo del pubblico.
Come nella vita reale, i partecipanti ad una situazione sono attori consapevoli degli spettatori che hanno di fronte e pertanto cercano di creare una determinata impressione (immagine di sé). Possono seguire le norme sociali che ritengono in uso in quel contesto oppure sfidarle deliberatamente per scioccare o sorprendere. Ecco come si può leggere la ricerca di visibilità, anche estrema di alcuni fenomeni che viaggiano sulla rete in questi giorni.
Come ci comporteremmo se non ci fosse un pubblico?
La questione del pubblico è importante anche per riflettere sul modo in cui utilizziamo i SN. Quando comunico ho sempre presente a chi mi rivolgo?
Come comunicherei se pensassi che ciò che scrivo o pubblico potrebbe essere visto da tutti?
Ad esempio a volte posso scrivere qualcosa all’interno di una conversazione di gruppo online credendo possa essere piacevole, gradevole e apprezzato all’interno di quella cerchia di persone. Ma ogni messaggio può essere condiviso, fino a diventare virale e raggiungere un pubblico molto più ampio, che potrebbe non apprezzare il mio messaggio. Infatti la possibilità di una diffusione virale non intenzionale di una comunicazione intesa per un pubblico ristretto è tutt’altro che remota, non sempre questo ce lo ricordiamo.
Il pubblico, gli spettatori di un atto di bullismo, ad esempio, fanno persistere il problema, prendendo le parti dell’uno o dell’altro o avendo funzione di pubblico reale o virtuale per il cosiddetto bullo, oppure perché si aspettano un’evoluzione del rapporto tra il bullo e la sua vittima, spingendolo ad agire. Il pubblico vuole lo spettacolo e viceversa.
I comportamenti on line non sono predittori delle caratteristiche di personalità – non è possibile affermare che chi passa molto tempo su un SN sia più introverso di altri, così come chi gioca a GTA sia più violento.
Dunque attenzione a non confondere gli usi, i comportamenti con le caratteristiche individuali.
Anche l’uso massivo, che a volte fa preoccupare gli adulti rispetto ad una presunta dipendenza dei ragazzi, altrimenti detta iperconnessione, può essere letta come bisogno di legami con i pari, tra i quali avvengono i processi di costruzione dell’identità tipici dell’età evolutiva, come ho esposto prima.
Concludo con alcune indicazioni per genitori e ragazzi.
Come dialogare con un ragazzo sui significati delle loro relazioni online?
Potete porre queste domande ai ragazzi con cui avete a che fare, figli o studenti:
Se sapessi che il tuo professore o il vicino di casa potrebbero leggere quello che hai scritto on-line, scriveresti le stesse cose e nella stessa forma?
Sei sicuro che le foto e le informazioni che pubblichi ti piaceranno anche tra qualche anno?
Prima di caricare/postare la “foto ridicola” di un amico, ti sei chiesto se a te farebbe piacere trovarti nella stessa situazione?
I membri dei gruppi ai quali sei iscritto possono leggere le tue informazioni personali?
Mostreresti quella foto anche al tuo nuovo ragazzo/a?
Pensa a quando cercherai lavoro, sai che le società di selezione del personale cercano informazioni sui candidati utilizzando i principali motori di ricerca on-line?
Le foto che hai pubblicato sui social network, e i post che hai inserito potranno danneggiarti nella ricerca del tuo prossimo lavoro?
In generale, la tua immagine social, corrisponde a quello che vuoi fare vedere di te alle persone?
Se sei un genitore
Che conoscenza hai delle TD e dei SN?
Come li usi?
Sai che conoscenza ne ha tuo figlio e come li usa – a quali SN è iscritto, quali giochi utilizza, quali gruppi online frequenta, che immagina di sé mostra nelle chat, come si relaziona on line e nella vita reale?
Cosa racconta e cosa rende pubblico (che invece dovrebbe rimanere privato), cosa cerca in internet?
Come rispondere alle provocazioni, alle offese o agli attacchi in una conversazione online?
Attenzione a non sminuire le TD: i ragazzi ci sono nati, per loro sono uno strumento di vita quotidiana, come la carta e la penna, non sono un problema ma un’opportunità. Oltretutto gran parte dei loro modelli devono il loro successo proprio alle TD e ai SN, dunque definirle “perdita di tempo” significa criticare gran parte delle loro interazioni sociali, degli interessi e delle attività che svolgono tutti i giorni.
Come negare che ciò non ricopra un fascino per un giovane bramoso di trovare un proprio posto nel mondo?
bullismo comunicazione cyberbullismo disimpegno morale Goffman hate speech identità immigrati digitali iperconnessione mobile born Napoli nativi digitali on line PA Social Campania psicologo psicologo Napoli psicologo on line psicoterapeuta relazioni social network tecnologie digitali