Persone nella rete
Sintesi dell’intervento al seminario Rispetto in rete – vedere l’altro oltre lo schermo: rischi di un uso non consapevole del web: dal cyberbullismo al revenge porn – organizzato dall’APS I-Respect.org e CISL Campania il 19 gennaio 2023 a Napoli.
Riassunto
In questo articolo, si parla di come le persone utilizzano le tecnologie e frequentano gli ambienti digitali nei quali si riscontrano modalità di comunicazione e di interazione differenti da quelle possibili nei contesti offline.
Le regole d’uso dei social network possono modificare l’impegno etico e morale richiesto nelle interazioni al punto tale che le persone possono comportarsi diversamente da come farebbero nei contesti offline. Quale impatto di queste differenze sull’identità e sulla reputazione delle persone?
Parole chiave
Teoria generazione, immigrati e nativi digitali, conoscenze informatiche, ambienti e contesti online e offline, regole sociali, persone e pubblico, disimpegno morale, akrasia, identità, revenge porn, social network, reputazione, comunicazione, promozione della salute.
Mentre preparavo il mio intervento a questo seminario mi sono posto alcune riflessioni che vorrei condividere con voi questa sera.
L’obiettivo è porre alla vostra attenzione alcune considerazioni sul modo in cui le persone utilizzano le tecnologie digitali (di seguito TD) e la rete internet – rete intesa come uno spazio virtuale nel quale interagiscono identità reali.
Cominciamo parlando delle persone.
L’etimologia del termine persona rimanda al concetto di maschera/personaggio e si utilizza per indicare qualcuno che partecipa ad una rappresentazione.
È una metafora interessante quella di considerare le persone come attori che interagiscono in una scena dov’è presente un pubblico. Il sociologo Irving Goffman ci ha fondato i suoi studi su questa rappresentazione della vita quotidiana.
Anche quando pubblichiamo o commentiamo un post su un social network (di seguito SN) stiamo partecipando ad una rappresentazione.
Ovvero comunichiamo qualcosa della nostra identità – della nostra persona, un pensiero, uno stato d’animo, un’opinione e gli altri utenti/attori fanno da spettatori.
La rete: intesa non solo come uno strumento tecnologico, un mezzo per fare qualcosa, ma anche come ambiente, ovvero un contesto nel quale le persone interagiscono, si possono fare delle cose e ci sono delle regole, dei modi d’uso che non sempre conosciamo e ne siamo consapevoli.
Ad esempio, sappiamo tutti come funzionano i SN e le applicazioni di messaggistica che utilizziamo tutti i giorni?
Se vogliamo capire come funziona un ambiente dobbiamo conoscere le regole d’uso che ci dicono cosa è possibile fare in quel contesto.
Parlando di persone, dobbiamo tenere presente che la società odierna è composta da differenti generazioni che contemporaneamente vivono insieme.
Ognuna ha un differente grado di socializzazione, ovvero di conoscenza e di utilizzo delle TD.
Faccio riferimento alla cosiddetta teoria generazionale di Howe e Strauss che, in sintesi, sottolinea come nella società odierna siano presenti persone che la tecnologia l’hanno conosciuta da adulti, verso la fine del millennio scorso, per necessità lavorativa o per interesse o svago. Infatti si dicono immigrati digitali.
A cavallo del millennio e in maniera esponenziale nella prima decade degli anni duemila, le TD si diffondono sempre di più e nascono persone che sin da neonati vivono in ambienti sempre più tecnologici e connessi, fino ad arrivare ai nativi digitali – ovvero persone nate in ambienti caratterizzati da portabilità e connettività onnipresente, altrimenti detti mobile born.
Questa differenza tra generazioni va tenuta presente se vogliamo comprendere i significati che le persone attribuiscono alle TD, anche rispetto alle differenti età.
A cosa serve tenere presente questa teoria?
Serve a non confondere l’uso con l’utilizzatore come può succedere quando vediamo un bambino “smanettare” sullo smartphone e diciamo che è un “genio”.
Questo considerare i più giovani dei “geni della TD” ci fa rinunciare a capire realmente che conoscenza e che uso ne fanno i ragazzi. Infatti se entrassimo nel merito troveremmo tutt’altro che genialità…
In studio incontro genitori che sono preoccupati dal tempo che i figli passano attaccati allo smartphone, me ne parlano in termini di dipendenza.
Invito questi genitori a capire cosa fanno e come usano le TD i loro figli, passandoci del tempo insieme.
Teniamo presente che la connettività portabile, mobile, fatta di smartphone, è stata pensata per essere utilizzata in modo intuitivo – smart appunto, cioè senza teorie sul modo d’uso, senza istruzioni da apprendere.
Ecco perché se date ad un bambino di poco più di un anno il telefono dal quale vede i suoi filmati preferiti, li sa cercare anche da solo (c’è poco di geniale in questo).
La tecnologia che oggi utilizziamo per comunicare è progettata e costruita per evitare al consumatore ogni tipo di conoscenza informatica.Per questo non c’è il libretto di istruzioni nei cellulari, da circa vent’anni.
Inoltre, i nativi digitali percepiscono diversamente la distinzione tra online e offline perché l’ambiente di vita già comprende oggi entrambe le dimensioni e non attribuiscono alla tecnologia e ai SN la connotazione di “problema”.
Se io uso qualcosa che c’è sempre stato nella mia vita, non lo problematizzo, lo do per scontato, non ne vedo gli aspetti critici.
Va ricordato che lo sviluppo tecnologico è più veloce della nostra capacità di comprensione e di capire che impatto sta avendo sul modo di relazionarsi con gli altri e sul modo di comunicare.
Allora ci potremmo chiedere se questa tecnologia sta creando fenomeni nuovi o ci sta facendo assistere a questioni vecchie che si presentano in forma nuova?
Ad esempio la prepotenza – che connota tante azioni che hanno rilevanza penale – esiste da sempre ma si presenta oggi sotto forme nuove.
Ciononostante rimaniamo attoniti e scioccati quando veniamo a sapere di certi usi delle TD che, fortunatamente, solo in alcuni casi raggiungono le cronache più drammatiche.
Più spesso ci troviamo a chiederci come siano possibili certi fenomeni oggi?
La più semplice delle spiegazioni è che certi fenomeni sono possibili proprio perché è possibile per le persone frequentare ambienti e contesti nei quali quella esperienza si può fare.
Ma allora tra realtà virtuale/online e realtà offline non c’è nessuna differenza?
Questa domanda appare anacronistica, nel frattempo che ce la poniamo, la tecnologia – che è più veloce della possibilità di comprenderla – ci ha messo a disposizione spazi di interazione, ambienti online dove fare esperienze di vita che prima non esistevano.
Pensate solo a quanto tempo passate a scrivere messaggi su WA o su FB.
Allora possiamo chiederci quali regole sociali, quali modi di comunicare siano adeguati, opportuni e cosa possiamo fare per salvaguardare la nostra identità e quella degli altri.
Oggi l’attenzione di chi studia la comunicazione è orientata a comprendere se i contesti di interazione offerti dalla rete sono vincolati alle stesse regole sociali dei contesti offline.
Oppure stiamo partecipando alla creazione di nuove norme di relazione e comunicazione.
In questo non ci sarebbe nulla di strano, le regole sociali sono locali e valide per un certo periodo di tempo, poi cambiano.
Ad esempio prima andavamo in modo molto formale dai genitori della nostra futura moglie a parlare delle nostre intenzioni di matrimonio, oggi ciò accade in maniera più informale – sono cambiate le regole d’uso.
La ricerca psicosociale già da diversi decenni ci ha mostrato che in certi contesti e condizioni, le persone possono comportarsi diversamente dai loro standard di azione, magari perché percepiscono che le regole di quel contesto lo consentano.
Oppure perché vedo altri farlo e così lo faccio anch’io.
Oltretutto non vedere direttamente l’interlocutore modifica il modo di comunicare.
Così può accadere che utilizzando un SN, le persone usino dei meccanismi di disimpegno morale che generano il discostamento dai propri standard etici, senza sentirsi in colpa.
Ovvero posso fare delle cose che normalmente non farei.
Così oggi diventa più che mai necessario chiederci chi c’è dall’altra parte dello schermo, considerare che ci sono delle persone, con scopi, desideri, intenzioni anche differenti dalle mie.
Siamo consapevoli che le azioni fatte sulla rete, possono avere effetti offline?
Se scrivo un post, avrò piacere a ricevere like e commenti di apprezzamento, dunque le interazioni virtuali, hanno un effetto concreto.
Pensiamo ad un ragazzo o una ragazza che fa gli esperimenti di costruzione dell’identità tipici dell’adolescenza: si cambia il look, l’abbigliamento, il trucco, i gusti musicali, le idee su di sé, gli altri, il mondo…tutti aspetti che cambiano anche da un giorno all’altro, come sa chi a che fare con gli adolescenti.
Con un selfie pubblicato su un SN è possibile presentare questi esperimenti potenzialmente a tutto il mondo.
Pensate che effetto può avere per quel ragazzo ricevere un commento positivo o negativo, un apprezzamento o un insulto.
Per un adulto non è molto diverso, vogliamo tutti essere riconosciuti e apprezzati, nessuno vuole essere insultato o denigrato.
Pensiamo al caso estremo del revenge porn.
Qualcuno condivide delle immagini che dovevano essere private, le fa diventare virali, genera il fenomeno e contribuisce al trasferimento dell’intimità dalla sfera privata a quella pubblica, con finalità denigratorie che minacciano la cosa alla quale più teniamo nelle nostre relazioni.
Parlo della cosa più importante che abbiamo, ovvero la nostra identità personale e l’idea che vogliamo che gli altri abbiano di noi, ovvero la nostra reputazione.
Come vogliamo che gli altri ci vedano? Una domanda che non sempre ci poniamo quando utilizziamo i SN.
Ricordiamo la metafora dalla quale siamo partiti, quella delle persone che interagiscono come se fossero dentro una rappresentazione, uno spettacolo.
Ne deriva che c’è anche un pubblico che assiste.
Il ruolo del pubblico è mantenere vivo lo spettacolo stesso.
Pensate di essere spettatori a teatro. Improvvisamente tutto il pubblico si alza e se ne va. Gli attori continuerebbero a recitare? Io penso di no…
Allora cosa accadrebbe di tante notizie, degli atti di prepotenza, atti di violenza o bullismo, se non ci fosse un pubblico a tenere in piedi proprio quella rappresentazione?
Anche solo vedere come va a finire quel conflitto…chi ha progettato i SN sapeva bene di fare leva sulle caratteristiche più distintive della specie umana, il bisogno di comunicare, la curiosità, il bisogno di mostrarsi ed essere riconosciuti.
Queste considerazioni ci ricordano che non è un lusso pensare alla nostra reputazione quando interagiamo con gli altri.
Reputazione nella sua accezione più arcaica, che implica tra i suoi significati anche l’idea di benevolenza verso noi stessi e verso il nostro interlocutore.
Non ne parlo con un’accezione moralistica, non penso ci dobbiamo volere tutti bene, sto pensando che lo schermo ci separa e non ci fa vedere l’altro.
E quando non sappiamo chi c’è di fronte potremmo fare cose differenti da quelle che normalmente siamo abituati a fare.
Mi avvio a concludere, con un accenno a ciò di cui ci occupiamo come associazione I-Respect.org.
Creiamo delle esperienze di gruppo che ricalcano gli ambienti di vita, in particolare certi contesti di relazioni offline e online (interazioni a scuola, ma anche sulle chat, dentro i videogiochi…) e facciamo emergere le regole d’uso.
Nelle esperienze che proponiamo ai ragazzi nei progetti chiediamo ad esempio: quando assisti ad una prepotenza in una chat di cui fai parte, come ti comporti? Com’è stato possibile avere dei comportamenti online che non avresti in classe o a casa?
Chiediamo anche di “mettersi nei panni di…” per fargli assumere un altro punto di vista.
Ad esempio, se la persona che vedi in quel video che fa così ridere di una sua disgrazia, fosse un tuo amico, come ti comporteresti?
Se succedesse a te di essere preso di mira da qualcuno, come vorresti che gli altri si comportassero?
Questi esercizi immaginativi servono a promuovere possibili comportamenti che possono essere attivati in un’occasione reale.
Il progetto come palestra.
Ecco perché siamo più interessati a parlare di promozione della salute, di comportamenti adeguati, consapevoli e rispettosi piuttosto che di prevenzione.
La prevenzione prevede indicazioni chiare su cosa è giusto/sbagliato, cosa posso fare e cosa non si può fare – che va bene, ma non basta!
Tutti noi sappiamo che certe cose non si possono fare e comunque le facciamo, si tratta del fenomeno dell’akrasia, agire contro il nostro migliore giudizio!
Oltre tutto ciò che è vietato fare, o giudicato sbagliato è sempre molto attraente, non solo per i ragazzi.
Quindi attenzione ai divieti, meglio capire significati e regole d’uso.
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